CHE COSA INTENDO QUANDO DICO: RECITARE

Voi direte:
recitare significa più o meno quando uno impara a memoria un testo e lo dice davanti a tutti, assumendo un atteggiamento, una postura o uno stato emotivo x.

Beh ok, dico io. In linea di massima è questo sì, non lo posso di certo negare. Ma personalmente me ne dissocio quasi, e dico quasi, totalmente.

Ma io sono un caso disperato.

Non accetto niente di meno che l’ideale assoluto.

“La vera arte non può essere il lavoro di un uomo ordinario. L’uomo ordinario non può recitare, non può essere « io ».” G.I.Gurdjieff

Recitare infatti per me significa essere uomini e donne liberi.

“Liberi da cosa? Io sono gia libera.” Bofonchia l’abbonata in pelliccia della seconda fila.

E’ opinione comune nel mondo del teatro ritenere che il tipo umano “abbonata in pelliccia della seconda fila” sia del tutto o quasi, privo della facoltà di produrre un qualsivoglia pensiero critico, seppur minimo.

L’uomo o la donna che affermano in modo arrogantello, ma -ahiloro!- malcelando una certa punta di terrore negl’occhi, di “essere liberi” purtroppo sono proprio coloro che liberi non lo saranno mai.

MAI.

O comunque non lo saranno per un periodo molto molto molto lungo di tempo.

Comprendere che non siamo mai liberi, neanche di scegliere con quale shampoo lavarci i capelli è il primo passo verso la libertà.

Io non sono libero.

Tutto in me è meccanico. Tutto in me non è altro che il frutto di meccanismi e condizionamenti acquisiti nell’infanzia, che si sommano fino a creare il mio carattere, o meglio i miei atteggiamenti dominanti, i mei gusti personali le mie preferenze sessuali. Tutto si decide nei primi anni di vita. Il resto va avanti per inerzia. A meno che, IO non me ne accorga…

L’embrione di un essere umano, e di un attore, nasce nella coscienza di colui che si accorge del teatrino che va avanti da solo nella sua vita, nel momento in un cui egli diventa consapevole di tutti (o almeno di gran parte) i meccanismi, le abitudini mentali, emotive e fisiche, le debolezze e le potenzialità, e sulla base di questo risveglio DECIDE VOLONTARIAMENTE E COSCIENTEMENTE che direzione dare alla sua vita.

“Si può recitare solo da svegli. Ma imparando a recitare imparo a svegliarmi.”

Saper recitare significa essere consapevoli di CHI SI é.
E giocare. In teatro o sullo schermo certo. Ma anche nella vita.
È questa la sfida. La vera sfida. L’ideale che vale la pena perseguire.
Altrimenti che gusto c’è? Che senso ha?
Non avrebbe senso questo mestiere, se proprio di mestiere vogliamo parlare.

Ad un livello profondo, spirituale, non basta imparare a memoria due battute e associarle ad un atteggiamento esteriore per essere un’ Attrice.

Io questo l’ho sempre sospettato.

Non basta fare due moine, muovere le gambette, fare un sorrisetti piuttosto che un piantetti…

Di questo ne ero convinta in modo radicale e assoluto, ancora ai tempi dell’Accademia.

Ero disgustata dalla superficialità con la quale gli attori si approcciano al lavoro attoriale.

Ma, MA! Poi ho capito, o meglio ricapito che volevo essere un’attrice e non una marionetta.

NON UNA MARIONETTA.

Io credo che in questo senso ogni individuo, a prescindere dal suo impiego, se fosse davvero onesto con se stesso dovrebbe rimboccarsi le maniche e porsi come grande obbiettivo della sua vita: DIVENTARE UN ATTORE.
Ovvero un individuo sveglio, LIBERO dai condizionamenti subconsci, creativo, gioioso.
Ma soprattutto consapevole della Verità del suo Essere.
Della sua ESSENZA.
Di chi egli è aldilà dei suoi meccanismi e automatismi.
Aldilà della sua PERSONA* ovvero della sua MASCHERA.
(persona* dal greco: la maschera che utilizzavano gli attori per amplificare la voce e interpretare un ruolo).

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