L’Arte comincia dove finisce la catarsi

Non ho idea del perché nel mondo dell’arte e del teatro in particolare, c’è la tendenza generalizzata a considerare la catarsi come un qualcosa di soprannaturale. Quasi si ha paura a nominarla.

“Ieri sera c’è stata la catarsi in scena, hai sentito?” Quasi come fosse una santa che quando si presenta tutti si devono inchinare e portarle rispetto. Allo stesso tempo è meglio non sperarci troppo che si presenti, meglio fare il nostro “lavoro di attori” senza pensarci troppo a queste “cose sacre” , testa china e fai la memoria.

BAH.

Dove siamo finiti io non lo so proprio.

A volte mi domando come facciamo a essere così irrimediabilmente immersi nell’idiozia.

Fatto sta che se vai a indagare profondamente nessuno sa cosa sia davvero la catarsi e come andrebbe praticata.

Pochi, fra gli attori o fra qualsiasi altra categoria di esseri umani, hanno fatto della catarsi la propria pratica quotidiana.

La mattina mi sveglio mi lavo i denti e faccio il bidè. Per quale motivo non dovrei lavarmi anche i pensieri e le emozioni?

Le ascelle sì, le emozioni no.

Vado al lavoro stanco e depresso, ma senza il tartaro tra i denti.

(Mentre scrivo e mi rileggo, mi rendo conto che è doveroso aggiungere che andare al lavoro senza il tartaro fra i denti è già un comportamento estremamente evoluto fra gli abitanti di  questo pianeta. È una cosa incredibilmente apprezzabile di cui non tutti comprendono l’importanza. Per contro a volte, in questo pittoresco e variopinto pianeta, si ha il paradosso della gente che medita e viaggia in astrale, purtuttavia senza ritenere essenziale il ripulirsi in primo luogo da numerosi strati di tartaro sui propri denti. Strati  che evidentemente si sono  accumulati nei giorni e giorni  passati in uno stato di trance prolungata. Ah, quanta meraviglia la Terra! In ogni caso, questa è un’altra storia; siamo ovviamente nel parossismo, nello sconvolgimento dei piani, nel disordine assoluto delle priorità. Argomenti che tratteremo più avanti. O forse mai.)

Invece, la catarsi è la base di ogni lavoro spirituale che si rispetti. La possiamo riassumere così: prendersi la responsabilità della propria felicità e non fuggire dal dolore, ma tuffarvicisi dentro con consapevolezza, con coraggio. La religione è oppio solo quando diventa una fuga, un qualcosa che mi addormenta e mi sposta dalla sofferenza che invece è presente QUI e ADESSO.

Se c’è sofferenza nel mio adesso, allora è proprio il caso che io la affronti, che io la guardi con fiducia!

Più fuggo la sofferenza, più la mia coscienza si appanna. È un fatto tecnico. Più mi immergo invece nel mio inconscio nella mia oscurità senza paura, più l’illuminazione è vicina. È ovvio!

Questo non vuol dire che me devo sfogà così, a caso. Faccio una piazzata. Adesso mi sente! Mo basta! Mo’ gliele suono! Gliela faccio vedere io.

La chiave è essere consapevoli. Più sarò consapevole nella mia follia, più velocemente evaporerà la sofferenza.

E aggiungo, finché non sono in grado di esprimere a comando quella specifica emozione in un contesto neutro e controllato, non posso dirmi del tutto libera da quell’emozione. Sono schiava di me stessa, dei miei meccanismi interiori, dei miei moti emotivi.

Mi tocca davvero nel profondo comprendere e vedere che la nostra intera società é strutturata, anzi SI FONDA, su questa incomprensione di base.

Non c’è spazio alcuno per la catarsi, e i poveri artisti, nella MIGLIORE delle ipotesi sfogano attraverso la loro arte le loro sofferenze interiori. Ma sfogarsi nell’arte non vuol dire fare arte !

Mi sembra ovvio questo.

Però, c’è sempre un però. La vita è misteriosa. A volte puo’ accadere che mentre sto componendo una canzone trap sulla mia fidanzata che mi ha lasciato, mi accorgo dell’irresistibile bellezza e vitalità del suono di un synth e qualcosa dentro di me si sblocca. Potrebbe addirittura accadere un miracolo e potrei decidere di darmi alla classica, andare a studiare in conservatorio e comprendere che l’arte del “compositore” dovrebbe mirare ad esprimere la musica delle “Alte Sfere”, non le convulsioni delle mie viscere straziate dall’abbandono del mio gatto.

Chissenefrega delle mia sofferenza, o delle mie fantasie, sono mie! I miei panni sporchi me li lavo da solo, in bagno o al massimo in lavatrice, ma perché devo farci un album?! O uno spettacolo? O una mostra di arte contemporanea?

Ieri ho scoperto dolori e i piaceri del BONDAGE e via con la mostra alla Biennale.

Oppure, che schifo Trump è una persona brutta che mi ricorda mio padre, quasi quasi gli dedico una statua.

Perché devo essere così egocentrico da pensare che i miei caxxi personali possano interessare a qualcuno?!

L’Arte, la creatività è una qualità che inizia OLTRE la catarsi, oltre il mio piccolo io, oltre le mie faccende personali. Quando mi sono lavato, posso fare spazio, posso connettermi con le Forze, le Potenze Creative.

Quando mi sono lavata posso essere USATA da queste forze e potenze, divento una medium, e un’attrice in ultima analisi è una medium. Ma come ripeto sempre: “essere un’Attrice è una meta a cui ogni essere umano dovrebbe ambire.”

Togliersi di mezzo, e rinascere nel Sé. A questo mi dovrebbe portare la catarsi, ad essere un individuo nuova, integra, androgina, forte e sicura della mia identità trascendente e spirituale!

Questo pezzo perdonatemi è volutamente al maschile, e poi ad un certo punto passa al femminile.

Mi andava così, in ogni caso, ogni riferimento a cose o a persone realmente esistenti invece è puramente casuale.

E chi si sente offeso od offesa vada a praticare la catarsi.

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